Talvolta la retorica aiuta…

Ha detto qualcuno, tempo fa, che “se non ci ucciderà il virus, lo farà la retorica”. Il problema è che se la sensazione di soffocamento è simile in entrambi i casi, nel secondo la morte è ancora più lenta.

Cara Emilia, ci sarebbero talmente tante cose da dire che si rimane facilmente senza parole. In primis, guarda, sono contento che i miei figli siano già abbastanza grandi da essere stati stroncati sul nascere mentre cominciavano a costruire le proprie vite. Una tragedia, certo, ma pensa se fossero stati ancora adolescenti, in età scolare senza scuola e con la possibilità di socializzare solo attraverso i social network. Sarebbe stato peggio, non credi? Io penso che la mia angoscia sarebbe almeno tripla e la mia rabbia a livelli inimmaginabili.

E poi: è vero, abbiamo una classe dirigente ignorante e patetica, che ci propina pantomime intollerabili e infinite, ma ti immagini cosa avrebbe voluto dire essere nelle mani di un Bolsonaro? E, infine, ci lamentiamo per la evidente truffa dei vaccini, ma quanti pensi che ne arrivino in Nuova Guinea, nel Butan o in Perù?

In sostanza, è evidente che non c’è limite al peggio, quindi ne consegue una serie di domande, che inevitabilmente giro alla tua infinita saggezza: come tenere botta? A cosa attaccarsi? A chi chiedere aiuto? E che tipo di aiuto, poi?

Tutte domande retoriche mi dirai, ma non puoi negare che ti avevo avvertito da subito: sarà la retorica a ucciderci. Comunque sia, confido in te. Michael

Caro Michael, la tua lettera mi ha colpito. Difficile risponderti, dicendo qualcosa che abbia un senso. Ti seguo quando dici che non c’è fine al peggio. Anche e soprattutto quando, anche se non lo esprimi chiaramente, dici che stiamo molto meglio di molti altri, non solo di altri paesi, ma anche di tante persone, mi verrebbe da aggiungere. Ti confesserò che vivo ogni giornata ringraziando di poterla vivere e pensando a quanti non possono godere di tutto quello che ho (salute, tranquillità economica, affetti sicuri e sinceri) e l’unica spinta vitale che mi permette di stare più serena è la dimensione della cura, il desiderio di offrire agli altri qualcosa di quel tanto che ho. L’unico senso che intravedo in questo mondo sempre più folle, follia che il virus ha messo a nudo, è il desiderio di unirsi agli altri, cercando il più possibile di far sentire la vicinanza e la solidarietà come un bene unico ed essenziale. Questo amore è spinta vitale, è energia, che è il sale e l’essenza della vita. Mai come in questo momento, dove abbiamo visto la morte molto vicina a noi, ho sentito e sento con forza che il motore del mondo è la vita e di questa dobbiamo prenderci cura, costi quel che costi. Ed è proprio in questo prendersi cura degli altri, della natura e del mondo che ci circonda, che possiamo trovare un senso e un appagamento.

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