Non è incolpando i genitori che si risolve il problema…

“Tocca ai genitori” è il messaggio più forte che viene dal Safer Internet Day di quest’anno, la giornata mondiale per la sicurezza in rete. Che poi, cara Emilia, è la stessa cosa che mi ha detto mia figlia – 25 anni, educatrice diplomata e ovviamente disoccupata, ma anche giocatrice di pallavolo e allenatrice di una squadra di ragazzine tra i 12 e i 15 anni (anche qui naturalmente in stand by) – con la quale ho avuto un’interessante conversazione sulle problematiche derivanti dal rapporto tra i ragazzi e quella giungla inestricabile che è ormai diventata internet.

In realtà, ho cominciato chiedendole cosa, secondo lei, potrebbe fare la scuola, e l’ho trovata subito scettica. A suo parere, è ormai impossibile impedire l’utilizzo degli apparati tecnologici in ambito scolastico. Un’eventuale proibizione da parte di singoli insegnanti provocherebbe la rivolta degli studenti, che oltretutto troverebbero per una volta la solidarietà dei loro genitori, ormai del tutto assuefatti alla chance di poter contattare i propri figli in qualsiasi momento. L’unica alternativa, abbiamo quindi concordato, potrebbe essere un intervento legislativo che sancisse l’obbligo di lasciare gli apparati tecnologici di qualsiasi tipo fuori dalle classi (magari in appositi armadietti, come si vede nei film americani!), ma è pur vero che questo andrebbe probabilmente a cozzare con la didattica, che ormai ha inevitabilmente a che fare con le tecnologie.

Insomma, un vicolo cieco, e quindi si torna a bomba: “dipende solo da voi”, ha concluso mia figlia. Intendendo con quel “voi” il ruolo genitoriale, unico baluardo reale contro quasi tutte le problematiche che possono sconvolgere le menti ancora fragili dei ragazzi. Ovvio, mi dirai, lo sapevamo già. Solo che poi ho visto in tv un servizio su una tredicenne che guadagna molti soldi facendo l’influencer su Tik tok, su cui posta video di balletti e canzoncine sponsorizzando non so che. E allora? Mi chiederai dov’è la notizia? La notizia è che la bambina era seduta in mezzo a mamma e papà, che tranquillizzavano l’intervistatore sul fatto che loro seguivano passo passo l’attività della creatura, tenendola così al riparo dalle insidie della rete e permettendole, nel contempo, di seguire le proprie inclinazioni e dare libero sfogo alla sua creatività. Prosit.

Caro Prosit, non saprei come chiamarti perché non hai firmato questo tuo messaggio. Il tuo nome non lo conosco e penso mai lo conoscerò. E così sia. Più che una lettera mi sembra un discorso molto ben scritto che contiene una serie di affermazioni che non aspettano altro che di essere confermate. Non mi sembra che tu stia cercando un confronto, ma solo un consenso da parte mia. Ebbene, perché ho scelto di pubblicarlo? Forse perché, a differenza di quel che mi sembra sia il tuo obiettivo, trovo interessante condividere le tue riflessioni con il pubblico di lettori di questa rubrica, augurandomi che qualcun altro dica la sua su questo tema senz’altro scottante per chi è genitore. Molto utile sarebbe sentire quello che pensano di queste tue affermazioni madri e padri di figli adolescenti nel pieno vortice da social. In realtà lettere di genitori, per la verità perlopiù madri, disperati da un uso troppo pervasivo dei social da parte dei figli ne ricevo quotidianamente. Chiedono come poter intervenire per arginare il fenomeno evitando con il loro intervento di renderlo invece ancora più presente e totalizzante. Tua figlia, educatrice venticinquenne, scarica sui genitori il problema. Non posso darle torto, capisco il suo punto di vista, ma forse il problema non è così semplice. Forse dovremmo tutti noi adulti che ci occupiamo delle giovani generazioni (non solo quelle dell’età di tua figlia, ma, anche e soprattutto, le precedenti), come genitori, educatori, counselor, psicologi, insegnanti, trovare un modus operandi comune. Ognuna di queste figure ricopre un ruolo preciso e ha un compito di guida, accompagnamento, cura, nei confronti dei ragazzi. Inutile fare lo scarica barile dando la responsabilità solo ad alcune di loro. Non serve a nulla. Quante volte sento genitori disperati che accusano gli insegnanti e, viceversa, insegnanti che chiedono ai genitori di fare il loro mestiere con fermezza. Come prima cosa ognuno di noi dovrebbe assumersi le proprie responsabilità. E, in seconda battuta, dovremmo cercare di coordinarci e lavorare insieme, condividendo l’angoscia che ci attanaglia, cercando di trovare strategie comuni per agganciare i nostri figli, alunni, pazienti…

Solo così riusciremmo a fare qualcosa di buono, trovando un modo per interessarli, mostrandoci noi per primi interessati e in ascolto, attenti alle loro problematiche e curiosi di conoscere i loro desideri, le loro opinioni e le loro idee. Cercando di insegnare loro come lo spirito critico sia il sale della vita e che tutto si può fare (o almeno quasi tutto), ma che l’importante è essere consapevoli di quello che stiamo facendo, di quali sono le conseguenze di ciò che decidiamo di fare e quali i rischi che corriamo nel farlo. Difficile, ma fondamentale. Comunque mi auguro che questa tua “lettera” dia il via a una feconda discussione.

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